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Adolescenti. La pressione dei pari: imparare a dire “no”

Sono molti i ragazzi che, quando hanno l’occasione di consumare alcool, droghe e tabacco o si trovano di fronte a comportamenti a rischio non dicono di no. La pressione dei pari gioca un ruolo determinante sulla genesi di questi comportamenti.

Per molti ragazzi il problema principale quando escono con gli amici non consiste nel non sapere discriminare se una situazione è pericolosa o meno, oppure se usare certe sostanze può fare più o meno male alla loro salute. Spesso gli adolescenti raccontano di essere ben consapevoli dei rischi che corrono salendo su un’automobile guidata da un compagno ubriaco, oppure degli effetti devastanti che le bevute di troppo hanno sul loro umore e sulla loro prestanza fisica. Ciò nonostante, tanti fanno ciò che non vorrebbero, semplicemente per aderire a una norma implicita del proprio gruppo di amici. Molti hanno l’impressione che esprimere pareri e assumere comportamenti diversi da quelli messi in atto dalla maggioranza possa tradursi nell’esclusione e nella non accettazione da parte del gruppo.

Questo fenomeno si definisce come “pressione dei pari”: un meccanismo di influenzamento psicologico che costringe le persone a comportarsi, non in base a ciò che sentono, ma adattandosi in toto alle aspettative percepite di amici e compagni ritenuti significativi nel gruppo di amici.

Nella mente del ragazzo che subisce la pressione dei pari si genera un conflitto: da una parte pensa che la cosa migliore da fare sarebbe autodeterminare le proprie scelte, dall’altra però teme di essere escluso, di diventare lo zimbello, di essere additato come il “secchione”, il “santerello” ecc.

Come genitori e educatori si è chiamati ad aiutare gli adolescente ad affermare in modo sano e competente il proprio punto di vista e le proprie scelte all’interno del gruppo dei pari. Cioè imparare a dire no.

 

Saper dire no da parte di un ragazzo significa:

  • affermare il proprio no in modo fermo e deciso
  • fornire motivazioni di questo no
  • saper offrire alternative possibili all’esperienza o alla cosa che viene rifiutata
  • abbandonare la scena dove il no viene banalizzato o ridicolizzato dagli altri soggetti

 

Come educare al no?

  • E’ bene discutere con i ragazzi che lasciare la scena dove un gruppo di amici sta mettendo in atto comportamenti pericolosi non è mai una sconfitta anche se può essere doloroso. La percezione che il gruppo allargato ha di un soggetto che lascia la scena non è mai di uno sconfitto, ma di una persona coraggiosa. Lasciare la scena è un atto di coraggio che può aiutare anche altri, che vivono internamente lo stesso conflitto, a non seguire il gruppo come pecore.
  • In famiglia e nei contesti educativi, bisogna riconoscere ai ragazzi degli spazi di autonomia e di autoaffermazione anche se in disaccordo con alcuni nostri principi. Dargli l’occasione di esprimere dei no durante il proprio percorso di crescita, articolandone le motivazioni e dando modo di apprezzare quanto sia soddisfacente percepire internamente che, dando retta a se stessi, si sta facendo la cosa giusta. Imparare a dire no può essere un’esperienza di enorme significato educativo se l’adulto la sa accompagnare e seguire attraverso gli strumenti del dialogo e non del rifiuto, del sostegno e non della condanna.
  • I ragazzi imparano soprattutto attraverso l’esempio. Per insegnare a dire di no dobbiamo, noi per primi, mostrarci capaci di dire di no e mostrare coerenza. Un comportamento agito e testimoniato in famiglia è più eloquente di mille parole. Per insegnare a dire no dobbiamo quindi in prima persona “dire no” a ciò che riteniamo dannoso e rischioso e, inoltre, far rispettare queste nostre regole anche a eventuali ospiti, amici e parenti. Dobbiamo pensare, per esempio, che il disagio e l’imbarazzo che possiamo provare nel rifiutare il posacenere a un ospite che ci chiede di fumare in casa è lo stesso che provano i nostri figli quando devono sostenere un rifiuto che, nella loro mente, potrebbe metterli a rischio di non essere accettati dagli amici.