Amore e dipendenza
L’amore per gli altri nasce nel momento in cui siamo in grado di amarci e accettarci come persone imperfette e limitate senza sentirci incompleti. L’amore per gli altri nasce quando possiamo riconoscerne l’esistenza come persone reali, separate da noi, quando possiamo superare la dimensione del bisogno per aprirci alla sfera del desiderio.
Il bisogno nasce da una mancanza e richiede un soddisfacimento immediato.
Il desiderio ammette l’attesa, implica creatività e fantasia, tiene conto del mondo esterno per il suo soddisfacimento.
L’età dell’Eden
Alla nascita abbiamo un bisogno assoluto della madre, la nostra dipendenza è totale, senza moriremmo. Non esiste il “neonato” come entità separata, afferma Winnicott: una volta fuori dall’utero sperimentiamo la gratificante illusione di uno stato onnipotente di fusione simbiotica con la madre, un armonioso miscuglio compenetrante in cui io-sono te-tu-sei me, sono nel latte e il latte è in me.
Tutti abbiamo nostalgia di questa condizione originaria di sicurezza e beatitudine: il tossicodipendente, il bulimico, l’innamorato, l’artista. E’ il modo di fare ritorno a questa esperienza, di ricercare questo stato in termini di bisogno, di timorosa ritirata dal mondo o in termini di progetto, di desiderio di espansione, che distingue salute e malattia.
Le prime lezioni d’amore
Sempre Winnicott, ci insegna che e’ nel rapporto con una “madre sufficientemente buona” (“sufficiente” in quanto imperfetta e “buona” perchè capace di restare accanto) che il bambino impara ad amare, cioè evolve da una relazione narcisistica con una madre intesa come estensione del sé a una relazione matura con una persona reale. E’ grazie alla capacità della madre di “sopravvivere emotivamente alla distruttività” con cui il bambino avanza richieste ideali, impossibili da soddisfare, che il bambino impara a tollerare la frustrazione della non onnipotenza, del non “tutto e subito” e può rinunciare al suo sogno di relazioni ideali e accettare che la realtà umana è fatta di rapporti imperfetti.
Per capire che cosa si intende per “sopravvivere emotivamente alla distruttività del bambino”, pensiamo a quante volte una madre, in quanto “sufficiente” e non “perfetta” può sentirsi fallita come madre, può sentirsi inadatta perchè non è in grado di porgere subito il latte, di addormentare, di calmare il dolore, di consolare il suo bambino. Pensiamo poi ai molti modi in cui la madre, in quanto “buona” madre, è comunque in grado di comunicare al bambino la sua sicurezza e la sua amorevole presenza: cullando il bambino, cantandogli una ninna nanna, sorridendogli, abbracciandolo.
E’ in questo distruggere la madre ideale e nell’esperienza della madre di essere distrutta e sopravvivere alla sensazione di essere distrutta che il bambino sviluppa un senso di fiducia e di autonomia e crea un legame d’amore con la madre come persona reale che è stata capace di restargli accanto. E’ in questo transito dalla relazione onnipotente con la madre alla relazione reale con essa e con il mondo circostante che si acquisisce la capacità di desiderare.
Frustrazione tollerabile, assente e intollerabile
Come si è detto, la frustrazione, posta in una dose tollerabile, nel rispetto dei tempi di maturazione, fa bene al bambino se egli, al contempo, sa che l’adulto lo ama e soddisfa le sue esigenze primarie, se riceve amore e può fidarsi di chi si prende cura di lui. Grazie alle micro- delusioni del quotidiano il bambino prenderà coscienza dei suoi limiti e del fatto che dipende dall’altro e riconoscerà che le persone che lo circondano sono individui a sé con desideri e necessità proprie.
Se invece l’esperienza di frustrazione è assente (non vengono posti limiti all’onnipotenza del bambino) o tale da non poter essere tollerata (esperienze di trascuratezza, separazione, abbandono), la tendenza prevalente sarà quella di prendere le distanze da forme di dipendenza sana, per mancanza di risorse e timore di soffrire, e aggrapparsi patologicamente a un oggetto, a un comportamento, a una persona nell’illusione di ripristinare modalità primitive di controllo onnipotente. Il prevalere della dimensione del bisogno sul desiderio circoscriverà al fare e possedere e non piuttosto progettare, creare, sognare, le uniche modalità di rapporto con il mondo esterno.
A partire da questo modello teorico, si possono inquadrare differenti manifestazioni cliniche caratterizzate da craving (incapacità di controllo): tossicodipendenza, dipendenza affettiva, dipendenza da gioco, dipendenza da internet, dipendenza da shopping, bulimia, per citarne alcune.
La psicoterapia
Una psicoterapia del profondo è un’esperienza di regressione creativa in cui il paziente ha la possibilità di riprendere il percorso di sviluppo affettivo che si è arrestato. Nello spazio protetto della psicoterapia il paziente, mediante il transfert, mette in gioco il suo stile di attaccamento, le sue emozioni, la sua affettività. Il terapeuta partecipa emotivamente agli stati affettivi del paziente, si fa coinvolgere completamente con i suoi limiti e le sue debolezze e vive a livello controtransferale emozioni intense. E’ la capacità dello psicoterapeuta, come una “madre sufficientemente buona” di “sopravvivere emotivamente alla distruttività” del paziente, di restare accanto, di dimostrare il suo genuino interesse che consentirà al paziente di sentirsi autenticamente accolto e favorirà l’instaurarsi di una relazione di fiducia con il terapeuta come persona reale e non come figura idealizzata. Questo rapporto di cooperazione, questa alleanza terapeutica aprirà la strada alla possibilità, da parte del paziente, di accettare le proprie e le altrui imperfezioni, di imparare ad amarsi e ad amare, di superare il bisogno per aprirsi al desiderio.