Disturbi d’ansia e attaccamento insicuro
Chi soffre di un disturbo d’ansia soffre molto: vive i suoi sintomi come qualcosa di terribile, doloroso e fastidioso. La sua vita diventa un incubo e, da persona felice che era, si trova a doversi occupare continuamente delle sue paure. La sua esistenza si trasforma in uno slalom tra i pericoli e, per paura di soffrire, rinuncia a vivere.
Pur non potendo indicare un rapporto deterministico ma solo probabilistico, possiamo spesso ritrovare nell’infanzia di queste persone delle storie di attaccamento insicuro. Una storia di attaccamento insicuro è quindi un fattore di rischio per lo sviluppo di un disturbo di ansia in età adulta.
Vediamo che cosa questo significa e che ruolo ha nella cura di questa condizione patologica.
Chi soffre di un disturbo d’ansia soffre molto, ma si può curare.
Com’è l’ambiente in cui si sviluppa un disturbo d’ansia?
La famiglia di una persona che soffre di ansia o di fobia è di solito abbastanza riconoscibile:
- da sempre c’è stato un malato in famiglia o una persona sempre a letto o, in qualche modo, le malattie sono state argomento di conversazione o di timore molto importanti
- un genitore o un familiare prossimo erano o sono persone molto ansiose
- c’è stato un clima familiare molto chiuso verso l’esterno: protezione, isolamento, sospettosità
- da parte di uno o entrambi i genitori il comportamento è stato estremamente protettivo nei confronti del bambino e delle sue esplorazioni
- il bambino ha avuto qualche problema fisico che ha rinforzato la tendenza familiare a considerarlo debole e a proteggerlo
- a volte, più raramente, si è creata una situazione di reale mancanza affettiva e di figure di riferimento presenti e accudenti
Si tratta di famiglie dove il bambino tenderà a sperimentare un tipo di attaccamento insicuro, premessa su cui si potranno sviluppare i sintomi di un disturbo d’ansia.
Che cos’è l’attaccamento.
Bowlby (1969) ha messo in luce l’importanza dell’attaccamento madre – bambino: è attraverso i primi rapporti con la (le) figure di riferimento che il bambino costruisce le prime e tendenzialmente stabili idee di chi è, quanto è degno di essere amato, qual’è la sua potenzialità in rapporto al mondo, quali probabilità ha di farcela a intraprendere azioni che mettono in gioco il suo valore. L’idea di sé nasce dal rapporto con un altro, nel momento in cui esso (generalmente la madre) rappresenta tutto il suo mondo.
Una serie impressionante di esperimenti dimostra l’importanza di avere una buona storia di attaccamento. Un attaccamento “sicuro” serve a sentirsi amati, amabili, a essere maggiormente in grado di avere rapporti soddisfacenti a scuola, a essere più fiduciosi nella propria autorevolezza, a fidarsi di più di sé e degli altri, a tendere ad avere emozioni positive ecc. Una storia di attaccamento positiva è la premessa di una buona capacità esplorativa.
Secondo Bowlby l’attaccamento nel bambino è preferito all’esplorazione quando egli si vive come debole, quando la madre è difficilmente prevedibile e quando il mondo esterno, gli eventi sono ritenuti paurosi.
L’incompatibilità tra esplorazione e attaccamento è un dato caratteristico dei disturbi d’ansia.
Due tipi di organizzazione: autonomo (forte-solo)/ dipendente (debole-attaccato)
La storia di attaccamento delle persone che soffrono di disturbi d’ansia spiega l’incompatibilità tra attaccamento e esplorazione. O si è totalmente dipendenti, legati, vicini o si è totalmente lontani, separati e soli. In una storia di attaccamento sicuro il rapporto con la madre permette di assumere con fiducia comportamenti esplorativi efficienti. Se invece vi è incertezza o cattiva qualità del rapporto madre – bambino o se l’esplorazione viene impedita la persona avrà due possibili vie da intraprendere:
- Libertà-solitudine. Esploro il mondo rinunciando all’attaccamento (compulsiva fiducia in se stesso: non ho bisogno di nessuno, mi fido solo di me).
- Sicurezza-costrizione. Mantengo un buon attaccamento e rinuncio ad esplorare (rapporti di dipendenza: mi attacco agli atri per non restare solo).
Tutti abbiamo bisogno di una certa dose di autonomia e di dipendenza dagli altri, i problemi sorgono quando autonomia e dipendenza sono rigidamente polarizzati ed esiste un solo modo e quello solo di vedersi ed è molto difficile intravederne un altro.
La crisi d’ansia
La crisi d’ansia si scatena di solito nel momento in cui la persona vive un evento che ha la caratteristica di impedire al soggetto di vedersi come aveva fatto fino a quel momento: cioè assolutamente indipendente (forte/solo) o assolutamente dipendente (debole/attaccato): può trattarsi della formazione di un legame affettivo o di una rottura, di un lutto, della nascita di un figlio, di un successo o di un fallimento. Dopo tale evento il vecchio modo di vedere se stessi è messo in crisi ma non esiste ancora una nuova immagine di sé capace di sostituirla.
La storia del paziente che soffre di disturbi d’ansia si può, in genere, suddividere in tre fasi:
- una fase premorbosa, prima di stare male, che egli considera normale o addirittura idealizzata
- la fase della crisi di panico o delle crisi d’ansia ravvicinate
- una terza fase in cui egli, in genere ha adottato strategie di evitamento, chiusura per evitare di vivere ancora le crisi di ansia
La psicoterapia
Come abbiamo visto la storia di attaccamento della persona che soffre di ansia è un fattore di rischio per l’evolvere della condizione psicopatologica. Tuttavia bisogna tenere presente che alcuni eventi di vita significativi, come un percorso di psicoterapia, possono avere un forte impatto e determinare cambiamenti significativi nello stile di attaccamento, aumentando gli indicatori di sicurezza e riducendo l’ansia e l’evitamento (Strauß, et al. 1918).
Nel corso della psicoterapia è molto importante dedicare ampio spazio alla ricostruzione dei modelli di attaccamento. La ricostruzione della storia di attaccamento non consiste in un cura di per sé, ma consente di conoscersi meglio e portare alla luce quegli elementi che hanno avuto un valore patogeno. La terapia consiste in un complesso percorso da costruire insieme, nella relazione terapeutica, in cui il paziente dovrà sempre avere, anche nei momenti più bui, il terapeuta al proprio fianco. L’ansia e le fobie si affronteranno insieme, gradualmente, in un rapporto di fiducia e di scambio. L’obiettivo della cura sarà quello di operare una ricostruzione creativa del proprio modo di vedere se stessi e il mondo. La psicoterapia si proporrà di aiutare il soggetto a immaginare percorsi di vita alternativi, meno rigidi, più ricchi e articolati, di aiutarlo a esplorare strade nuove più funzionali al proprio benessere. Ricominciare ad esplorare, lentamente, non solo favorisce l’allargarsi di un mondo che si stava restringendo, ma comporta un immediato miglioramento dell’immagine di sé: si torna ad acquisire fiducia in sé, a sentirsi di nuovo capaci.
Esiste una storia personale che si è inceppata su alcune modalità di attaccamento ed è diventata interpretazione di sé e del mondo, è sulla ricostruzione critica e sulla reinvenzione creativa di questi elementi che si basa una buona terapia che permette al paziente di tornare ad esplorare, uscire dalla gabbia che ha creato e ricominciare ad affrontare il “rischio di vivere”.
Per approfondire:
- Sassaroli; R. Lorenzini (1993) “L’Uomo Nero”, Ed. NIS