Imparare a deludere i genitori
Anche da adulti, noi temiamo il giudizio delle altre persone e in particolare dei nostri genitori: abbiamo paura di deluderli, di non essere all’altezza delle loro aspettative. Prendere le distanze da questa paura può essere la chiave per scoprire chi siamo veramente, per riconoscere i nostri bisogni e desideri e vivere una vita più autentica.
Perché si ha paura di deludere
Perché abbiamo tanta paura di non essere all’altezza delle aspettative dei nostri genitori?
Quando siamo bambini la famiglia è il luogo in cui ci si sente sicuri, è un riparo di fronte al mondo esterno. Quando siamo bambini i nostri genitori ci proteggono, ci consolano, si fanno carico dei nostri bisogni. Crescendo comprendiamo che i nostri genitori non sono onnipotenti, ma permane questo bisogno infantile di avere un luogo in cui ci si possa sentire completamente al sicuro. Da ciò deriva la paura di perdere l’amore dei nostri genitori, compiendo scelte che non li soddisfano.
Per paura di causare dolore ai nostri genitori, di perderli, di non essere più il figlio ideale si può diventare compiacenti, nascondere la propria vera natura, giocare un ruolo adattandosi a uno schema. Pensando di dover rispondere alle aspettative genitoriali per poter essere amati e amabili e ritrovare la sicurezza infantile, in un atto di onnipotenza, si può correre il rischio di perdere se stessi.
Una delusione inevitabile
Credere di poter rispondere alle aspettative dei propri genitori è un atto di onnipotenza, una spinta ideale impossibile da realizzare. Come scrive la psicoanalista e saggista Laura Pigozzi, è impossibile soddisfare un genitore, per struttura, non per incapacità; perché un figlio è sempre altro da ciò che era nelle fantasie di una madre o di un padre. Ogni genitore sarà sempre quindi un genitore insoddisfatto: tanto vale, per ogni figlio, prendere atto di questo limite universale e rivolgere le proprie energie altrove, in modo più costruttivo, inseguendo il desiderio che sostiene la propria vita.
Un conflitto interiore
Non bisogna pensare che emanciparsi dai propri genitori voglia dire entrare in conflitto aperto con loro o compiere scelte opposte, per reazione. Si tratta piuttosto di riconoscere il conflitto interno a noi, mettersi in ascolto e prendere coscienza dei pensieri, dei sentimenti e delle emozioni che entrano in gioco.
Le emozioni
Potremo provare dei sensi di colpa, aver paura del giudizio o di perdere l’amore dei nostri genitori o sentire rabbia quando ci costringiamo a piegarci alle richieste genitoriali. Le nostre emozioni sono importanti, sono degli indicatori che ci permettono di riconoscere i nostri desideri e ciò che è davvero essenziale per noi.
I pensieri
Possiamo riconoscere delle piccole frasi, dei messaggi che i nostri genitori ci hanno ripetuto nella nostra infanzia e, una volta fatti nostri, possono avere un impatto enorme sulla nostra personalità e sul modo di affrontare la vita, definendo i criteri di riuscita e fallimento. I messaggi possono essere i più svariati: “sii bravo”, “sii forte”, “i maschi non piangono”, “non mangiare troppo perché ingrassi”. Per poter essere davvero sé stessi è necessario liberarsi dalla camicia di forza di queste ingiunzioni.
Vivere una vita più autentica
Proviamo a chiederci se abbiamo scelto di sposarci, fare figli, fare carriera, laurearci perché “dobbiamo” o se è ciò che desideriamo profondamente. Chiediamoci se sentiamo della gioia quando raggiungiamo i nostri obiettivi o se li sentiamo solo come degli obblighi, dei doveri da portare a compimento.
Vivendo in funzione delle attese dei nostri genitori, compiendo scelte che sentiamo come dei “dover essere” rischiamo di passare a lato della nostra vita, di vivere una vita non nostra alimentando un grande malessere interiore. Se la delusione dei propri familiari può essere difficile da vivere sul momento, giocare a carte scoperte è anche una forma di liberazione, la fine di un inganno, di un’illusione. Essere infine chi siamo davvero in modo autentico è liberatorio, soprattutto dopo anni di finzione. La nostra vita esteriore corrisponde allora infine alla nostra vita interiore in un insieme armonioso.
Bibliografia: Laura Pigozzi (2020), “Troppa famiglia fa male”, Ed. Rizzoli.