Marijuana e giovani
Negli anni ’60 e ’70 fumare marijuana rientrava tra i comportamenti trasgressivi a cui una piccola percentuale di persone aderiva per affermare la propria diversità. La “canna” era un simbolo di non appartenenza di non aderenza alle regole della massa, un mezzo per affermarsi diversi. Oggi non è più così: più di un adolescente su tre ha già sperimentato la marijuana e molte persone ne fanno uso abituale. E’ il segnale che questa sostanza è stata decisamente sdoganata dall’area della trasgressione ed è entrata nelle esperienze di routine.
Certamente il dibattito pubblico sulla liberalizzazione delle droghe leggere ha contribuito a normalizzare la percezione sociale di questa sostanza e le conseguenze di tale cambiamento non sono ancora del tutto valutabili. Tuttavia è problematico constatare che ci troviamo di fronte ad adolescenti che fanno uso regolare di questa sostanza semplicemente perché fa stare bene: una “canna” aiuta a raggiungere uno stato di benessere in tempi molto brevi e viene usata per questo.
Questo fenomeno potrebbe sembrare non troppo grave: tutti cerchiamo il benessere e facciamo cose per avere benessere. Ma bisogna considerare che chi trova il benessere con una sostanza chimica conserva una chiara memoria della facilità con cui si è procurato quel benessere. Molte altre situazioni nella vita ci danno benessere e una sensazione di appagamento, ma spesso sono assai più difficili da conquistare. L’amore e l’affetto di chi ci sta accanto sono frequentemente fonti di grande gratificazione e piacere, che però vanno conquistate, perché non sono garantite a tutti. Un gruppo di amici che si trova insieme al sabato sera ha infinite possibilità di svago e benessere, ma le deve cercare, perché non esistono condizioni di benessere preconfezionate.
E’ qui che si insinua l’imbroglio delle sostanze. Per chi ne ha già sperimentato il piacere, qualsiasi sensazione di noia o disagio può essere facilmente superata attraverso la somministrazione periodica nel tempo di una sostanza chimica che aiuta a sentirsi bene (o meglio a non avvertire il disagio). Ecco perciò che il ricorso a sostanze psicotrope è pericoloso perché inibisce, se non impedisce, la ricerca di modalità vere e attive per cercare benessere e per non percepire il malessere e il disagio.
Molti ragazzi alla ricerca dello “sballo” chimico non hanno motivazioni reali al loro comportamento se non il desiderio di provare piacere e stare bene nel modo più veloce e facile possibile. Queste sostanze toccano la mente dei ragazzi, ma, ancora di più, ne toccano la voglia di diventare protagonisti della propria vita e, troppo spesso, spengono l’entusiasmo e il gusto di cercarsi attivamente la propria felicità, invece di trovarla già pronta e racchiusa in una sostanza.
Il grande accesso alla marijuana è, a sua volta, un epifenomeno che nasconde la facilità con cui gli adolescenti possono avvicinarsi ed essere avvicinati anche da altre sostanze ad azione psicotropa, spesso con un potere di “uncinamento” ancora più potente. E’ il caso della cocaina e dell’ecstasy, già sperimentate dal 6 per cento dei ragazzi e dal 4 per cento delle ragazze delle scuole superiori. Significa che in ogni classe di scuola superiore almeno due ragazzi hanno già sperimentato questa sostanza su di sé.
Viviamo in una società che mette al primo posto il “mi fa sentire bene”. Da genitori ed educatori è importante mettere in discussione i propri valori e i valori che trasmettiamo ai nostri ragazzi per rompere il legame tra sentimenti negativi e ricorso a strategie veloci per ritrovare il benessere: uso di alcool, droghe. Bisogna trasmettere e favorire nuovi modi per rilassarsi, godersi la vita e affrontare lo stress. Abbiamo la responsabilità di insegnare ai giovani a distinguere tra piacere chimico e artificiale e piacere autentico e apprezzare lo sforzo che richiede la ricerca del benessere reale.