Paura di fallire
Il fallimento, l’errore, l’insuccesso fanno parte della vita di tutti e non sono mai vissuti in modo piacevole, complice anche la società altamente competitiva nella quale viviamo.
Alcune persone però vivono più intensamente di altre la paura di fallire e possono sviluppare una vera e propria condizione di sofferenza psicologica.
In alcuni casi, la paura di fallire può presentarsi sotto forma di ansia da prestazione e accompagnarsi a sintomi quali palpitazioni, sudorazione, rossore, dolori intestinali, mal di testa, iperventilazione che possono presentarsi nelle situazioni in cui si deve sostenere una prova.
Elisa, all’ultimo esame di Giurisprudenza, non riesce a superare la prova: ogni volta che si presenta all’esame ha un’attacco di pianto che le impedisce di affrontare l’esame stesso.
In altri casi, la paura di fallire può dar vita a meccanismi di auto-sabotaggio caratterizzati dalla tendenza a procrastinare, rinviare continuamente il raggiungimento dei propri obiettivi, con conseguente frustrazione e scoraggiamento.
Claudio sogna di avviare una sua attività lavorativa e di lasciare il lavoro attuale che non gli consente di esprimere appieno le sue risorse. E’ molto abile in diverse attività, ma quando si tratta di fare sul serio non riesce a procedere, si sente bloccato in una confort zone che però gli sta stretta.
Qual’è il profilo delle persone più soggette alla paura di fallire?
Le persone che soffrono maggiormente per la paura di fallire sono persone insicure, narcisisticamente fragili, persone che mettono in dubbio costantemente il proprio valore. Si tratta di persone che, per sentirsi amabili, hanno bisogno costantemente di ricevere delle conferme positive. Esse non riescono a far propri e ad assimilare i successi ma ne vengono nutrite solo in modo temporaneo. Ovviamente il narcisismo non è esclusivo di una categoria di persone: tutti abbiamo bisogno di conferme e di riferimenti su cui poggiarci per affrontare la vita, ma alcune persone conservano il senso del proprio valore, nonostante i possibili insuccessi e hanno una visione più equilibrata di sé. Se dunque chi possiede un “sano” narcisismo saprà tollerare critiche, fallimenti e sconfitte, chi è più fragile tenderà ad oscillare tra profondi dubbi e un’apparente fiducia in se stesso. Questo funzionamento psicologico si radica nell’infanzia, nel rapporto problematico con le figure genitoriali che impedisce di strutturare appieno l’amore di sé e il senso di autostima.
Come affrontare la paura di fallire?
- Accettare che le sconfitte e gli errori fanno parte delle vita di tutti e, per quanto siano aspetti dolorosi e spiacevoli, sono anche indispensabili per poter crescere e imparare. Ricordo che da bambina la mia insegnante di pattinaggio mi spiegò, come prima cosa, che anche un pattinatore esperto può cadere e capii che non scherzava quando si presentò con il braccio ingessato. Ciò che differenzia le persone di successo da chi non riesce a realizzare le proprie ambizioni non è tanto il talento ma la capacità di perseverare di fronte alle sconfitte.
- Coltivare l’amore per sé sentendosi liberi di poter fallire. Soltanto accettando il fallimento come una dolorosa ma reale possibilità e riconoscendosi comunque degni di rispetto e di amore è possibile liberare le proprie risorse ed energie che rischiano di restare bloccate dalla paura stessa di fallire. Mi sembra esemplificativo, a questo proposito, il discorso tenuto dalla scrittrice J.K.Rowling ai neolaureati di Harvard. L’autrice della saga di Harry Potter, dopo aver fatto riferimento alla dolorosa serie di delusioni vissute nei 7 anni seguenti alla sua laurea (la perdita del lavoro, la fine di un matrimonio, la povertà con una figlia da crescere), illustra il benefico effetto che, nella sua vita, ha avuto l’esperienza del fallimento, con queste parole: “Allora perché parlare dei benefici del fallimento? Semplicemente perché fallire ha voluto dire spogliarsi dell’inessenziale. Ho smesso di fingere di essere qualcos’altro se non me stessa”; “Ero finalmente libera perché la mia più grande paura si era davvero avverata ed ero ancora viva”. E aggiunge: “Avendo una macchina del tempo o un Giratempo, direi alla me stessa di 21 anni che la felicità personale si trova nel sapere che la vita non è una lista di cose da raggiungere o in cui avere successo. Le vostre qualifiche, il vostro CV, non sono la vostra vita”; “La vita è difficile, è complicata, è oltre la possibilità di essere totalmente sotto controllo, è l’umiltà di sapere che sarete capaci di sopravvivere alle sue sfide”.
- Riconoscersi artefici del proprio destino. Nonostante la propria storia, per quanto dolorosa, ognuno ha sempre la possibilità nel presente di dare il meglio di sé facendo leva sulle sue risorse. Restare ancorati al passato e alimentare atteggiamenti vittimistici non fa che sostenere un ideale narcisistico a discapito della propria possibilità di azione e realizzazione: ad es. sarei uno stimato professionista se non fossi bloccato da questi sintomi per colpa di mio padre.
- Riconoscere la responsabilità personale di fronte alle sconfitte. Riconoscere di aver commesso degli errori, che alcune cose si sarebbero potute fare meglio o in modo diverso è più doloroso ma più utile perché permette di rimodulare il proprio comportamento, diversamente dal viversi come persone sfortunate a cui va tutto storto. Attribuire solo a cause esterne, al destino, al fato, la causa dei nostri fallimenti non fa che alimentare un senso di impotenza e scoraggiamento. Se impariamo a distinguere tra l’evento che non dipende da noi e il comportamento che avremmo potuto migliorare, possiamo sfruttare gli errori per migliorarci e alimentiamo il senso di controllo e di autoefficacia.
- Riconsiderare le proprie aspettative e i propri obiettivi. La frustrazione, la sconfitta è sempre in funzione dei propri obiettivi, più sono posti in alto più difficile sarà raggiungerli. Se, ai piedi dell’Everest, ci concentriamo solo sulla vetta saremo frustrati ad ogni passo, ogni passo ci sembrerà faticoso e saremo tentati di arrenderci. Soltanto se impariamo a definire dei traguardi intermedi e a gratificarci per i nostri sforzi potremo goderci il cammino.
Perchè può essere utile un percorso di psicoterapia
Quando la paura di fallire è tale da risultare di ostacolo alla realizzazione e al buon funzionamento dell’individuo, quando il livello di ansia di fronte a una prestazione è tale da impedire di affrontare le prove è opportuno intraprendere un percorso di psicoterapia. I momenti di crisi non sono da considerare soltanto come problemi da superare il più presto possibile ma anche come occasioni per aprirsi a una conoscenza di se stessi, per capire che cosa stiamo vivendo, che cosa stiamo rifiutando attraverso i nostri sintomi. Uno dei maggiori ostacoli alla autentica realizzazione di sé è la difficoltà di capire per cosa siamo fatti veramente senza confondere il proprio desiderio con quello degli altri, senza sentirsi in dovere di realizzare aspettative che non sono nostre.
La psicoterapia consente di entrare in contatto con se stessi, capire a che cosa si aspira davvero e che cosa invece si pensa di dover fare e diventare solo per essere amati e apprezzati.
La psicoterapia, inoltre,attraverso l’ascolto attivo ed empatico, l’attenzione ai punti di forza e alle risorse individuali, il clima di rispetto e fiducia per ciò che la persona è e non per ciò che idealmente potrebbe diventare consente di coltivare la propria autostima, rinforzare la fiducia in se stessi e imparare ad amarsi autenticamente. La persona, attraverso il dialogo terapeutico, diviene sempre più in grado di accettarsi così come è e di riconoscere che il proprio valore non è da misurare in base ai propri successi o fallimenti, ma in rapporto al coraggio e all’impegno profuso nella vita.
Chiudo con le splendide parole della canzone di De Gregori “La Leva Calcistica Della Classe ’68”:
“Ma Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”.