Paura di guidare, attacchi di panico al volante: la storia di Valeria.
Guidare la propria automobile, potersi muovere autonomamente in città, portare a scuola i bambini, andare al lavoro, raggiungere in auto gli amici, poter viaggiare. Quella che per molti è una gioia, per alcune persone può rappresentare un vero e proprio incubo.
La paura di guidare è un problema più frequente di quanto ci si possa immaginare, può manifestarsi improvvisamente, nella vita di una persona, o addirittura impedire il conseguimento della patente e per chi ne soffre, può essere un problema davvero limitante.
L’oggetto fobico è lo stesso ma la paura può presentarsi in forma molto diversa da una persona all’altra, sia in termini di intensità delle sue manifestazioni, sia per le sue differenti modalità di espressione.
Situazioni tipiche sono:
- paura di guidare in autostrada
- paura di guidare quando ci si trova nella carreggiata centrale
- paura di guidare nelle strade strette
- paura di guidare nelle strade trafficate
- paura di attraversare i ponti
- paura di guidare quando ci si trova in galleria
- paura di guidare da soli e necessità di avere un accompagnatore
Perchè ho paura di guidare?
Come per ogni fobia, anche nella paura di guidare l’oggetto della paura ha un valore simbolico. Bisogna però evitare il rischio di una semplicistica generalizzazione e ricerca di significati comuni, perchè ogni situazione è diversa da un’altra, per quanto possa presentare degli elementi e delle tematiche comuni e va analizzata nella sua specificità.
A titolo di esempio desidero presentare brevemente un caso clinico. Oltre ad utilizzare un nome inventato, introdurrò una componente di “fiction” per camuffare la persona e non renderla riconoscibile, pur mantenedo il senso complessivo della situazione proposta.
Valeria è una donna di 30 anni graziosa e solare, si presenta da subito come un persona grintosa e piena di interessi ma anche molto bisognosa, spaventata e sofferente. Giunge da me per un problema di attacchi di panico che si presenta, esclusivamente, alla guida dell’automobile. Riferisce di essere sempre stata una persona ansiosa e di avere sempre vissuto con ansia la guida, ma la paura adesso risulta invalidante, la limita negli spostamenti di lavoro, cosa a cui lei proprio non può rinunciare.
Nei colloqui la paziente, molto capace di introspezione, riconosce il legame tra la sua storia di vita e la maschera di persona forte e coraggiosa che ha sentito di dover indossare. Da bambina, Valeria ha vissuto un clima di tensioni familiari e di insicurezza che l’ha portata a scindere il suo mondo affettivo tra la madre sentita come più presente e percepita come una persona forte e il padre vissuto come assente, debole e incapace. Valeria si è identificata con questa madre forte, ma a costo di svalutare, adesso se ne rende conto, l’immagine paterna e di sacrificare la sua parte vulnerabile. Appare rappresentativo degli schemi di pensiero della paziente un suo ricordo adolescenziale. Valeria ricorda che la madre, quando non otteneva buoni risultati nel nuoto, sport che praticava a livello agonistico, la rimproverava, la accusava di non allenarsi abbastanza, di “rovinare tutto”. Nella logica privata di Valeria quindi il fallimento è equiparato alla perdita dell’amore e della sicurezza, forza e debolezza risultano scisse in modo dicotomico, diventare autonomi e indipendenti non sono delle spinte vitali, ma dei “dover essere” che non lasciano spazio al limite e alla fragilità.
Non a caso, il disturbo da attacchi di panico alla guida dell’automobile compare proprio nel momento in cui la capacità di vita autonoma e di indipendenza di Valeria sono messe alla prova, cioè quando per lavoro ha l’opportunità di trasferirsi in un’altra città, lontano dalla famiglia di origine, potendo così coronare il suo sogno, il suo ideale di donna indipente e libera. La paziente ricorda molto bene quel primo attacco di panico: ero andata da alcune amiche a cena, stavo per inserire le chiavi nel cruscotto e ho iniziato a sudare, a tremare, ho avuto paura di morire, non sono più riuscita a continuare, quando mi sono calmata ho chiamato subito mia mamma. Da allora Valeria ha molta difficoltà a guidare, soprattutto nelle gallerie, la sua preoccupazione non è di poter subire incidenti, ma di poter urtare la fiancata e “rovinare” l’automobile, così come da ragazza aveva paura di fallire e “rovinare” il rapporto con la madre.
Ho voluto presentare questa situazione clinica per dare evidenza della complessità e unicità di ogni storia e per far capire come sia possibile comprendere l’intreccio di significati racchiusi all’interno di ogni sintomo solo a partire dall’analisi della storia e dei vissuti di chi ne è portatore.
La fobia, l’ansia patologica, il panico sono paure irrazionali: nell’attacco di ansia e di panico il corpo reagisce come se si trovasse di fronte a un grave pericolo ma senza che vi sia davvero una condizione che possa giustificare quella reazione. L’oggetto della paura è quindi simbolico e rimanda a un conflitto interno alla persona, ma quel conflitto e quel simbolismo possono essere compresi solo in riferimento alla specificità di ciascuno.
Un ascolto attento del sintomo di Valeria ci permette di fare alcune ipotesi sul significato della sua paura. Gli attacchi di panico che impediscono a Valeria di guidare appaiono come una soluzione di compromesso tra il suo rigido ideale di autonomia e di indipendenza e il suo bisogno di dipendere, di vedere accolta e accettata la sua parte bisognosa e fragile. Valeria sente di dover essere indipendente e capace, di dover avere il cotrollo della propria vita, così come simbolicamente del proprio mezzo, per essere accettata e amata, ma al contempo si sente insicura, teme di perdere il controllo, di non essere all’altezza delle aspettative. L’attacco di panico, per Valeria, ha la funzione di interrompere uno squilibrio emotivo, di trovare una soluzione, anche se disfunzionale, nell’ambito di una situazione vissuta come conflittuale.
Come affrontare la paura di guidare
Di fronte a un problema così invalidante come la paura di guidare si potrebbe essere tentati di sbarazzarsi semplicemente del problema facendo riferimento a delle tecniche di rilassamento o a delle strategie di stampo comportamentale. Il caso proposto ci offre però l’occasione di riconoscere la funzione del sintomo nell’equilibrio psichico della persona e l’importanza di analizzarne la componente di significato. L’ansia, l’attacco di panico sono delle grida di allarme che non vanno soppresse, ma vanno ascoltate e capite e inquadrate sempre all’interno di una storia personale che ne fornisce il significato.
Come afferma Eugenio Borgna (1997): “La tentazione più facile e immediata dinanzi a un’esperienza di ansia è quella di aggredirla e di cancellarla al di là delle sue motivazioni e dei suoi significati. C’è un’ansia evitabile e una inevitabile; c’è un’ansia distruttiva e una dotata di un senso che è necessario decifrare; e c’è un’ansia che fa parte della condizione umana e non è patologica. Solo ascoltando, solo entrando in relazione dia-logica, è possibile scandagliare i modi di essere profondi, le forme (le figure) che l’ansia ha in sé; ed è possibile ricondurla a questa o a quella genesi. In ogni caso, non può non essere drasticamente riconsiderata (ri-conosciuta) la dimensione esistenziale (umana) dell’ansia e non può non essere risottolineata l’esigenza di salvaguardare l’area di senso che è in essa”.
Superare la paura di guidare, come qualsiasi altra paura, significa quindi porsi in ascolto del significato che questa manifestazione sintomatica ha nella vita della persona, capire che cosa ci vuole dire questa paura e accogliere quelle parti della propria soggettività che essa veicola. Nel caso di Valeria si tratta di mettere da parte la propria maschera di forza, il proprio rigido ideale di donna libera e indipendente ed entrare in contatto, accogliere, amare la propria parte più autentica, la dimensione di bisogno, di limitatezza e di vulnerabilità.
Piuttosto che sforzarsi di sopprimere il sintomo fobico, di sbarazzarsi della paura di guidare, che rischierebbe semplicemente di essere sostituita con un’altra paura, è più importante fare un lavoro di profondità per comprendere i propri conflitti interni e riorganizzarsi secondo equilibri più funzionali, più sintonici con i propri limiti e con la propria soggettività. Accettando di vivere nel rispetto dei propri limiti e dei propri bisogni e non in funzione di un “dover essere”, di un rigido ideale di personalità, di fatto saremo già guariti e, diventando inutile, il sintomo non potrà che decadere spontaneamente.
Per approfondire il tema dell’ansia, delle fobie, degli attacchi di panico:
Eugenio Borgna: “Le figure dell’ansia”.
Nicola Ghezzani: “Uscire dal panico”.