Perdonare il tradimento e l’offesa
Subire un’aggressione, essere traditi, ricevere un’offesa, vivere l’assenza di una persona cara in un momento difficile. A volte le persone che amiamo possono ferirci e deluderci profondamente. E’ possibile, è utile perdonare?
Il perdono non è obbligatorio.
Il perdono, prima di tutto, è una scelta. Perdonare non può mai essere un dovere, non è possibile perdonare se non esercitando la propria libertà di scelta: sta a noi decidere se imboccare o meno questa strada. Non dobbiamo lasciarci condizionare da un’immagine ideale di noi stessi (“io sono buono, sono uno che perdona”), né illuderci che il semplice perdono sia di per sé sufficiente a cancellare la ferita e ripristinare la condizione relazionale precedente. Peraltro, il perdono non è indispensabile per superare la delusione.
Perdonare non significa dimenticare.
In alcuni casi più che perdonare si cancella, si fa finta di nulla per non perdere l’altro: qui il perdono equivale a un diniego, che ha lo scopo di mantenere la relazione: “ti perdono perché non voglio più pensarci, faccio finta che non sia successo nulla”. Per perdonare al contrario bisogna ricordarsi l’offesa subita, ma al posto di coltivare l’odio e la vendetta, che ci tengono ancorati a un passato che non può essere superato, è possibile perdonare per liberarci dall’offesa e andare oltre.
Perdonare non è un atto immediato ma è un processo che richiede tempo.
All’interno di una relazione intima, chi ha subito un torto tenderà, in un primo momento, a sperimentare un forte disorientamento emotivo, dovuto alla discrepanza tra il comportamento inaspettato dell’altro e le convinzioni fino ad allora nutrite. In seguito proverà una gamma di emozioni che vanno dalla rabbia e collera anche intensa, alla delusione e tristezza, fino a sviluppare a volte una depressione. Secondo alcuni ricercatori, il processo che conduce al perdono è simile e quello che permette l’elaborazione dei traumi psichici. Il perdono immediato, soprattutto se ci troviamo di fronte ad offese rilevanti e dolorose, raramente è genuino e nel lungo periodo può far emergere un rancore ancor più dannoso per la relazione.
Enright (1991) ha descritto il lungo processo che porta al perdono e ha individuato 4 fasi:
- Fase della scoperta. Per perdonare bisogna innanzitutto prendere coscienza della ferita, diventare consapevoli della rabbia e del dolore conseguenti all’offesa ricevuta. Nella misura in cui si diventa consapevoli della propria sofferenza si avverte anche la necessità di agire per lenirla.
- Fase decisionale. Con la consapevolezza acquisita nella fase precedente, soppesando vantaggi e svantaggi, si prende la decisione di perdonare abbandonando il risentimento e il desiderio di vendicarsi.
- Fase di azione. Si compie lo sforzo di perdonare contestualizzando l’offesa, considerando la vulnerabilità della persona che ci ha ferito, guardandola con compassione. Si tratta di accogliere una nuova percezione della realtà dell’altra persona ed elaborare, al contempo, una visione meno distorta dell’accaduto, di mettersi nei panni dell’altra persona e interrogarsi su quali fattori di sé, oltre che di colui che ci ha ferito e dell’ambiente circostante, abbiano contribuito a determinare gli eventi. In questa fase è facile sentirsi confusi: in ogni offesa c’è qualcuno che ha fatto del male a qualcun altro, ma attorno a questo nocciolo di sofferenza è spesso aggrovigliata una matassa di torti e di emozioni difficile da sbrogliare.
- Fase finale. Si sperimenta il paradosso del perdono: offrendo amore alla persona che ci ha ferito si sperimenta un aumento del proprio benessere personale e una significativa diminuzione delle emozioni negative.
Il perdono rappresenta un atto profondo e liberatorio per chi lo esercita.
Perdonare non significa dimenticare, giustificare, accettare, dirsi che va tutto bene e stringere i denti, ma è un atto profondo e liberatorio per superare la ferita ed essere più felici.
Il perdono è uno stato interiore a cui si accede dopo un lavoro spesso lungo , a volte difficile, perché ci obbliga a rimetterci in gioco, ad assumere la nostra parte di responsabilità, a prenderci il rischio di sentire ancora male, ad accettare i nostri limiti e quelli degli altri.
Per ogni uomo essere “sociale” è un’intima necessità. Nel corso delle interazioni sociali inevitabilmente le possibilità di ferire ed essere feriti sono molte e a creare ulteriore disagio vi è il sentimento di rancore che si può coltivare: una passione che, in aggiunta alla sofferenza per l’offesa subita, ne aumenta il carattere alienante. Un fattore significativo che può aiutare a far fronte in maniera adattiva alle inevitabili fratture relazionali della vita quotidiana è la capacità di perdonare. Il perdono è un potente fenomeno pro-sociale, una strategia che facilita la restaurazione delle relazioni offrendo la possibilità di un nuovo inizio, che non è un semplice ritorno al passato, ma racchiude in sé la consapevolezza di quanto accaduto. L’inclinazione a perdonare ha importanti implicazioni, non solo per il benessere relazionale, ma anche per il benessere personale.
I legami importanti sono beni da coltivare che richiedono sforzo e capacità di investimento a lungo termine.
Fonti bibliografiche:
Barcaccia B. (2017), Il perdono interpersonale: analisi del costrutto. Efficacia, rischi e benefici per il benessere psicologico della terapia del perdono, Rassegna di Psicologia, XXXIV.
Enright R.D. & The Human Development Study Group (1991), The moral development of forgiveness, In Handbook of moral behavior and development, Vol I.
Molinari E., Ceccarelli A. (2007), Il processo del perdono: aspetti psicologici, Rivista di Psicologia clinica n.3