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Soffrire per la morte di una persona cara è come essere gettati in un fiume in piena, in balia di emozioni potenti e contraddittorie: ci si sente soffocare, si lotta per risalire a galla. Provare a resistere a questa corrente non fa che esacerbare il dolore mentre se ci si lascia trasportare, una volta emersi, si approda a riva con occhi diversi.

Il lutto è imprevedibile, incontrollabile, si manifesta a ondate. Magari si è trascorsa una giornata piacevole, ma basta che si affacci un ricordo per sentirsi all'improvviso sopraffatti dal dolore.

 Il lutto è un fiume che attraversa costantemente la nostra esistenza, è un lavoro difficile e lento di adattamento alle perdite che comporta un processo estremamente doloroso di graduale abbandono. Non c'è solo il lutto per la perdita di una persona amata: l'esperienza del distacco ci accompagna per tutto il corso della nostra vita.

C'è una fine a tutto e ci può essere anche una fine al lutto.

Il modo in cui si manifesta il lutto e il modo in cui lo si elabora, se ciò accade e non si incista in una condizione di lutto patologico, dipenderà dal modo in cui la persona percepisce la perdita, dalla sua età e dall'età della persona che è venuta a mancare, da quanto si era preparati, dal modo in cui è sopraggiunta la morte, dalle risorse interne personali e dall'aiuto esterno e, nondimeno, dalla storia personale con la persona che si è persa e dalle proprie storie di amore e di perdita. Il lutto può assumere forme diverse, non esiste un modo giusto, solo il modo peculiare a ciascuno. Tuttavia esiste un generale accordo nel ritenere che, nella normalità delle situazioni, si tratti di un processo che passa attraverso mutevoli fasi, sia pur sovrapponentisi, che richiedono un tempo di elaborazione di circa un anno.

Nella prima fase del processo c'è shock intontimento e senso di incredulità. In questa fase si è sottosopra, le emozioni vissute possono essere molto intense e a volte contrastanti. Il corpo e la mente stentano a credere a quello che è successo, è come un pugno nello stomaco che lascia senza fiato, anche quando si tratta di una morte prevista. In alcuni casi, soprattutto se si è assistito a lungo alla sofferenza di qualcuno che si ama, si può provare un senso di sollievo. In altri casi si può reagire con il pianto o restare come inebetiti. Ma il fatto che qualcuno che si amava non esiste più non sembra vero, va oltre la propria comprensione e, mentre il proprio intelletto registra la perdita, emotivamente prevale la negazione dell'accaduto.

Dopo la fase di shock, che è relativamente breve, ci si avvia verso una fase più lunga di intenso dolore psichico. Si tratta di una fase caratterizzata da pianti e lamenti, instabilità emotiva e disturbi fisici e anche da rabbia. La rabbia è una parte invariabile del processo del lutto, ma in verità gran parte della rabbia che si indirizza verso chi ci circonda (il dottore, chi cerca di dare conforto, Dio) è rabbia che si prova, ma che non si vuole provare, verso la persona defunta che ci ha abbandonato. Anche i sensi di colpa fanno parte di questa fase del lutto. Ogni rapporto d'amore è fatto di ambivalenza: si provano sentimenti positivi e negativi. Ma quando una persona muore ci si vergogna per i sentimenti negativi provati nei suoi confronti e ci si rimprovera, ci si sente colpevoli, per la propria cattiveria. Per difendersi dal senso di colpa e alleviarlo si può arrivare a idealizzare la persona che è venuta a mancare, convincedosi della sua perfezione per ripagarlo di tutto il male, vero o immaginario, che gli abbiamo fatto.

Dopo lo shock e la fase di acuto dolore psichico sopravviene la fase di compimento del lutto. Il compimento, nonostante il dolore per la perdita non svanisca, comporta un grado significativo di guarigione, accettazione, adattamento. In questa fase viene recuperata la propria stabilità, l'energia, la speranza, la capacità di godere la vita e farvi degli investimenti. Interiorizzando la persona defunta, facendola diventare parte del proprio mondo interno, si può finalmente porre fine al lutto.

Il processo descritto, che non è mai diritto e lineare ma sempre discontinuo, ha termine, in caso di lutto positivo, con una forma di identificazione costruttiva con la persona che non c'è più. Ma il lutto può  spesso andare male perché si può vivere la morte di una persona cara evitando di affrontarla o si può rimanere invischati nel processo del lutto.

Nel lutto cronico o prolungato non viene superata la seconda fase, si resta impantanati in uno stato di dolore intenso e continuo, ci si aggrappa senza ricevere sollievo al proprio dispiacere, alla rabbia, al senso di colpa, all'odio per se stessi, incapaci di proseguire con la propria vita. Il lutto è cronico quando non lo si può e non lo si vuole lasciare e si resta, in modo disfunzionale, ancorati al dolore per non perdere l'unica cosa che tiene agganciati alla persona che non c'è più. Continuare nel dolore sembra una fedeltà verso la persona scomparsa, mentre sospenderlo potrebbe sembrare un tradimento.

Il lutto è patologico anche quando è assente o rinviato nello sforzo di evitare il dolore della perdita. Quando la morte di una persona amata viene vissuta come se niente di dirompente fosse successo è probabile che in realtà non si sia in grado di affrontare emotivamente questa realtà. La persona teme che se cominciasse a piangere non sarebbe più in grado di smettere o che il peso di quel dolore sarebbe schiacciante riportando alla luce tutte le perdite della propria vita. In questi casi non si esprime il dolore ma si può apparire irritabili o forzatamente gioiosi o possono comparire sintomi fisici che sono una trasformazione della sofferenza psichica che non può trovare espressione.

Quando rivolgersi a uno psicologo

In caso di lutto patologico è indispensabile rivolgersi a uno psicologo per comprendere il senso del blocco che impedisce al processo del lutto di evolvere in modo sano. Un percorso di psicoterapia aiuta a capire che cosa rende difficile vivere l'esperienza di perdita e consente al dolore di ricominciare a fluire in modo sano, impedendo che si trasformi in manifestazioni sintomatiche che si sovrappongono all'esperienza dolorosa già esistente. Quando qualcuno che amiamo muore ci troviamo di fronte a due possibili alternative: possiamo vivere una vita mutilata non accettando la perdita, negandola, morendo a poco a poco con lui oppure possiamo forgiare sul dolore e sui ricordi nuovi adattamenti. Una psicoterapia aiuta la persona bloccata in un'esperienza di lutto patologico ad accettare i cambiamenti difficili che la perdita deve apportare e così porre fine al lutto e crescere con esso. Anche quando il lutto evolve in modo sano si può comunque sentire il bisogno di un supporto psicologico per poter parlare con qualcuno, esprimere le emozioni intense che accompagnano il processo del lutto, prendere atto di ciò che sta accadendo a livello emotivo e capire che è normale. Viviamo in una società basata sull'efficienza che vive nella finzione che la morte, la vecchiaia, il dolore, la sofferenza non esistano. Quando si è colpiti dalla morte di un proprio caro ci si può sentire molto soli: alcuni amici si allontanano, altri danno consigli non richiesti, incapaci di stare semplicemente accanto a emozioni così forti. Un sostegno psicologico consente di condividere ciò che si prova e sentirsi capiti, offre gli strumenti per riconoscere le risorse che si possiedono per attraversare il dolore e accettare la perdita attraverso un lutto costruttivo.

Il lutto non ammette scorciatoie, non c'è altro da fare se non attraversarlo interamente. Il dolore non si supera, si può solo viverlo per esserne trasformati. Se condotta alla luce della consapevolezza non esiste esperienza di perdita che non possa portare una crescita. Tutti preferiremmo fare a meno di questa esperienza di maturazione ma non esiste una così dolce alternativa.

 

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